Il maestro Neil…

Per quanto si cerchi di stare sempre sul pezzo, ascoltando ciò che di buono viene prodotto oggi sia in Italia che all’estero, c’è sempre l’abitudine di andarsi a risentire vecchi dischi. Musica con cui si è cresciuti, roba eccezionale che ha fatto storia. Neil Young. Ecco. Che dire… La meraviglia, la perfezione. Il suo modo di scrivere mi ha sempre profondamente affascinato. Un songwriter incredibile lui. La sua voce, il sound dei suoi pezzi. Cosa volere di più?
Mi capita in questo periodo di sentire molti dei suoi primi lavori. Qualsiasi album peschi, resti puntualmente colpito dalla straordinaria qualità. Qualità che contraddistingue ogni componente: testi, musiche, arrangiamenti. “After The Gold Rush”, “Harvest”, “On The Beach”, “Zuma”, “Everybody Knows This Is Nowhere”, “Time Fades Away”: capolavori autentici, album in cui c’è di tutto (rock, folk, psichedelia, country, blues). Pochi sono gli artisti che come Neil Young riescono a soddisfarmi pienamente. Nella sua musica, nelle sue canzoni, c’è tutto quello che mi appaga. C’è la predilezione per le ballads romantiche dal piglio acustico. Ci sono divagazioni rock e blues estremamente convincenti, soprattutto in quei frangenti dove le parole lasciano il posto alla musica e a lunghe e irresistibili progressioni chitarristiche. E poi quell’utilizzo consistente della steel guitar, uno strumento che mi fa impazzire, che sa di viaggio, di strade deserte, di tramonti, di spiagge immense e assolate. E se poi a suonarla c’è un certo Ben Keith allora il godimento è puro.

Alessandro

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