Caro Sufjan, qual buon vento…

Manca ormai poco all’uscita del nuovo album di uno dei cantautori americani in attività che più apprezzo. Sono arrivato solo di recente alla musica di Sufjan Stevens, e devo ringraziare il buon Niccolò Fabi per il consiglio indiretto. Già, perché fu sfogliando il booklet del suo disco “Novo Mesto” che mi avvicinai d’un tratto ad un artista davvero interessante, almeno a mio modo di vedere. In quel caso Stevens veniva citato nei ringraziamenti in quanto evidente fonte di ispirazione durante le registrazioni di uno dei dischi italiani più belli del 2006 (“Novo Mesto” per l’appunto).
Spinto dalla curiosità, sono andato quindi a sentirmi un po’ per volta i tanti dischi pubblicati nel tempo da Stevens, apprezzando soprattutto le sue opere più folk ed intimiste come l’ispiratissimo “Seven Swans” e il delizioso “Michigan”. Un altro suo disco che mi ha sorpreso molto è stato “The Age Of Adz”, risalente al 2010. Lo ritengo un lavoro particolarissimo. Onestamente non riesco ancora a capire se mi piaccia sul serio, ma di certo ne apprezzo l’evidente contaminazione che lo caratterizza, se non altro vista la considerevole presenza di elementi elettronici che lo rende alquanto moderno, per certi versi spiazzante.
Ora, a circa cinque anni di distanza da quel disco, Stevens torna con una nuova raccolta di canzoni. “Carrie & Lowell” uscirà la prossima settimana, e spero di riuscire ad accaparrarmelo. Voci di corridoio parlano di un ritorno all’acustico, il che mi intriga tantissimo. I primi due singoli rilasciati finora mi hanno convinto, e io, nell’attesa, riascolto volentieri un pezzo profondo come No Shade In The Shadow Of The Cross.

Alessandro

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