“La bella vita” di Paolo Virzì

Nel tempo mi sono molto affezionato alla prima fase registica di Paolo Virzì, iniziata intorno alla metà degli anni Novanta e terminata sul finire dello stesso decennio. Un modo di fare cinema diverso da quello di oggi, con una particolare attenzione al contesto toscano all’interno del quale Virzì stesso si è formato.
A lanciare l’autore livornese nel mondo del grande schermo fu “La bella vita”, di fatto il suo film d’esordio arrivato nelle sale nel corso del 1994. Una pellicola splendida ed emozionate, contraddistinta da uno stile semplice anche se in grado di coinvolgere fin da subito lo spettatore attraverso una forte immediatezza, capace di rendere fluida e godibile la narrazione.
Nell’opera, in cui recitano tra gli altri dei giovani Massimo Ghini e Sabrina Ferilli, si assiste alla drammatica fine di una relazione sentimentale. Un rapporto che si deteriora innanzitutto per via dei problemi sul lavoro con cui deve fare i conti il personaggio interpretato da Claudio Bigagli, un metalmeccanico destinato a essere licenziato dall’azienda presso cui presta servizio. A peggiorare la situazione, poi, l’attrazione provata dalla donna (Sabrina Ferilli) per un vanitoso e ruffiano presentatore televisivo, ovvero Massimo Ghini, pronto a sedurla con il suo fare elegante.
In un’atmosfera triste, pesante e inquieta fin dalle prime scene, marito e moglie si allontanano progressivamente, con delle conseguenze purtroppo drammatiche.
Un film davvero raffinato e senza sbavature, curato nei dettagli. Sceneggiatura impeccabile e con i tempi giusti, dialoghi per nulla banali, attori discreti nei rispettivi ruoli, fotografia volutamente cupa e un taglio generale molto intimista. Anche se i successivi “Ferie d’agosto” e “Ovosodo” non sono affatto da meno, per me “La bella vita” è un piccolo gioiello che sembra strizzare l’occhio al cinema d’autore.

Alessandro

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