
Credo che da gennaio ad oggi siano usciti molti dischi interessanti, soprattutto se si prendono in considerazione il mercato musicale inglese e quello americano. A proposito di Stati Uniti, oltre all’incantevole “Sable, Fable” dei Bon Iver mi ha colpito molto il secondo disco solista di Matt Berninger, leader dei National.
Pubblicato a fine maggio, “Get Sunk” è da intendere come l’ideale seguito di “Serpentine Prison”, un autentico gioiello dato alle stampe nell’autunno del 2020. A livello di composizione e di suoni è possibile notare diversi punti di contatto tra i due album, contraddistinti da uno stile dolce e intenso in virtù delle numerose ballate inserite in scaletta.
Rispetto al lavoro che Berninger continua a portare avanti con i National, in “Get Sunk” si avverte un tono più confidenziale, più intimo: il talentuoso artista, dotato di un timbro vocale tanto profondo quanto suggestivo, sembra trovarsi perfettamente a suo agio in questa veste di songwriter, di storyteller.
Soffici arpeggi di chitarra acustica, deliziosi passaggi di pianoforte, ritmi morbidi, atmosfere soffuse, un sapiente mix di acustica ed elettronica: questi gli ingredienti principali, capaci di dare a “Get Sunk” una veste sontuosa ma al contempo discreta, elegante eppure non posticcia, ruffiana, patinata.
Senza dubbio si tratta di un lavoro con i fiocchi. Una raccolta di dieci brani, lunga nel complesso circa quaranta minuti, che infonde quiete e magia grazie all’evidente ispirazione che si riesce a percepire dall’inizio alla fine.
Diversi i pezzi che mi hanno folgorato al primo ascolto, penso alla traccia di apertura Inland Ocean, delicata e al tempo stesso avvolgente, ma anche a Frozen Oranges, Breaking into Acting (cantata con Hand Habits, al secolo Meg Duffy), Little By Little e la conclusiva Times of Difficulty, ideale per chiudere alla grande un disco che gradualmente si va a cucire sulla pelle di un ascoltatore in cerca di pura bellezza.
Alessandro
Leave a Reply