Il groviglio di emozioni nell’ascoltare l’album “Solo un uomo”

“Solo un uomo” di Niccolò Fabi è un disco che per me ha un valore inestimabile, unico. Sono passati ben quattordici anni dalla sua pubblicazione, tuttavia mi capita spesso di andare a ripescarlo tra i tanti cd accatastati in camera e infilarlo nello stereo.
Non si dire se si tratti effettivamente del suo miglior album in assoluto, perché lavori quali “La cura del tempo”, “Novo Mesto” e “Una somma di piccole cose” appaiono senz’altro dei capolavori all’interno della sua magnifica discografia. Al di là di questo, posso dire con grande tranquillità di amarlo in una maniera esagerata.
In fin dei conti fu un colpo di fulmine con quest’opera, uscita il 30 maggio del 2009 e arrivata a circa tre anni e mezzo di distanza dal già citato e incantevole “Novo Mesto”, ricordato soprattutto per il fatto di contenere una gemma assoluta quale Costruire, anche se costituito da altre assolute meraviglie. Nonostante il tempo passato, ricordo con una precisione sconcertante il momento dell’acquisto e la successiva “chiusa” in casa per assimilarlo, farlo mio.
Il disco lo acquistai il giorno stesso del suo arrivo nei negozi: all’inizio di quel mese di maggio era stato lanciato l’omonimo singolo apripista, clamorosamente scartato dalla commissione artistica del Festival di Sanremo di quell’anno, capace di folgorarmi grazie alla sua indescrivibile potenza. Convinto che il buon Niccolò avesse tra le mani un disco importante, quel venerdì di fine maggio del 2009 mi recai con grande emozione alla Feltrinelli di viale Giulio Cesare.
La mattina stessa avevo sostenuto un esame scritto di teatro contemporaneo all’università, e prima di rientrare a Monte Mario, passando per il centro di Roma con il motorino, feci tappa in quella Feltrinelli che, all’epoca, frequentavo spesso. Andai spedito nel reparto di musica italiana a prendere il cd, caratterizzato da una copertina minimale, colma di colori piuttosto caldi.
Difficile a crederci, eppure durante l’intero pomeriggio ascoltai a ripetizione quell’album così ispirato, scritto con una cura magistrale e impeccabile dall’inizio alla fine. Non credo proprio di esagerare: dalle cinque alle dieci, undici di sera, “Solo un uomo” venne riavviato nello stereo del sottoscritto almeno dieci volte.
Con una naturalezza fuori dal comune, quelle dieci splendide canzoni incise e racchiuse al suo interno mi rapirono del tutto. Ci trovavo una purezza travolgente, un candore e una sensibilità esemplari: ogni cosa al suo posto, un’armonia troppo bella per sembrare vera.
Brani quali Attesa e inaspettata, La promessa, Fuori o dentro, Successo, Parti di me e Parole che fanno bene mi affondarono come delle cannonate, degli asteroidi capaci di dirottarmi su altri pianeti. Adoro così tanto questi pezzi, che vorrei dedicare un articolo apposito a ognuno di loro.
La stanchezza di questa lunga giornata lavorativa mi costringe tuttavia a fermarmi. Però ci tengo a ribadire che “Solo un uomo” è un disco straordinario, di cui al momento della sua uscita non si parlò troppo: i critici, evidentemente, erano attratti da altra roba.
Un grande peccato, perché gli amanti della bella musica dovrebbero conoscerlo a dovere, apprezzare tutte quelle soluzioni sonore adottate in fase di produzione. Chitarre acustiche ed elettriche perfettamente bilanciate, groove notevole, e poi tanta lap steel guitar dosata con gusto dal grande Roberto Angelini, uno dei tanti musicisti chiamati in studio per dare il giusto sound a delle canzoni già formidabili nella versione essenziale e primordiale.

Alessandro

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