La pregevole raffinatezza di Giovanni Baglioni in “Vorrei bastasse”

Negli ultimi anni mi sono chiesto spesso quando sarebbe uscito nuovo materiale firmato da Giovanni Baglioni, a mio modestissimo parere un chitarrista assai preparato e sensibile, dotato di una tecnica notevole. Alla sua musica mi sono accostato circa dieci anni fa, nel periodo in cui scrivevo su “MusicOff” ed ero perciò molto attento alle produzioni strumentali, soprattutto quelle firmate da chitarristi del calibro di Andy McKee, Tommy Emmanuel e via discorrendo.
Ovviamente, essendo un fan sfegatato del papà, sono venuto ben presto a conoscenza del Giovanni chitarrista, già coinvolto in alcuni concerti dell’immenso Claudio a partire dai primi anni del Duemila (in seguito si è dedicato anche ad altri progetti, come ad esempio il teatro). Tuttavia, è stato proprio attraverso “MusicOff” e il consiglio di qualche addetto ai lavori che sono riuscito ad ascoltare con attenzione il suo splendido disco d’esordio intitolato “Anima meccanica”, un biglietto da visita niente male per uno che con la chitarra ha una rara dimestichezza.
Quell’album lì, maturo e intenso pur trattandosi di un’opera prima risalente al 2009, mi ha fatto comprendere in poco tempo la validità della sua proposta musicale, basata su un linguaggio articolato e complesso anche se tutt’altro che ostico, difficile da masticare. Pur avendo ascoltato un numero esagerato di artisti dediti a sviluppare una musica priva di parole e originata solo ed esclusivamente da uno strumento ritmico come la chitarra, in tempi non sospetti Giovanni riuscì ad incuriosirmi e a convincermi attraverso la dolcezza delle armonie dei suoi brani e al suo tocco delicato e deciso, pulito e ruvido al punto giusto.
È stata tanta la gioia quando, verso la metà di marzo, un comunicato stampa inviato dalla cara collega Alessandra Placidi mi ha avvisato della pubblicazione pressoché imminente del suo secondo album in studio, intitolato “Vorrei bastasse”. Un qualcosa di assolutamente inaspettato, perché non sapevo che stesse bollendo qualcosa in pentola.
E allora, pochi giorni dopo l’arrivo del disco nei negozi, sono andato di corsa alla Discoteca Laziale per prendermi una copia in cd dell’album, che include otto deliziosi pezzi e che si avvale della suggestiva copertina firmata da Alessandro Dobici. Giusto un paio di rapidi e distratti ascolti in streaming prima di raggiungere lo storico locale all’Esquilino: praticamente un lavoro che ho comprato a scatola chiusa, come ho sempre amato fare.
A oltre due mesi dalla sua uscita, continuo a sentire con estrema costanza “Vorrei bastasse”, disco assolutamente coerente e ben strutturato, caratterizzato da una cura maniacale per i dettagli. È un lavoro che mi aiuta a rilassarmi, specialmente la sera, dopo una giornata estenuante di lavoro: bastano le prime note dell’iniziale
Tea Lemon Mummy a far distendere i miei nervi tesi, con la testa rapita all’istante dall’andamento brioso e fluido del componimento.
I sette brani successivi a
Tea Lemon Mummy sono tutti incantevoli, e non mi sembra affatto che in “Vorrei bastasse” ci siano degli episodi poco riusciti o riempitivi; percepisco invece uno sforzo importante a livello compositivo, nel senso che ognuno dei brani in scaletta sembra essere frutto di una scrittura ispirata, non eccessivamente elaborata ma nemmeno troppo istintiva. È un album di spessore il suo, pervaso da tanta qualità.
Tra i miei brani preferiti, oltre a quello già citato, l’incalzante
Toro Seduto ascendente Leone, Il giro del giorno in 80 mondi e poi l’ammaliante Emisferi, scelta per chiudere la raccolta. In questo caso, l’inserimento del pianoforte dà al componimento un qualcosa di celestiale, di onirico.
E pensare che a proposito di
Emisferi, in fase di registrazione Giovanni ha suonato in contemporanea il piano e la chitarra: con la destra le dita a sfiorare i tasti bianchi e neri del pianoforte, con la sinistra le dita a percuotere le corde della chitarra per tirare fuori quel suono denso e ricco di sfumature che si può scorgere. Se si fosse avvalso delle sovraincisioni, il risultato sarebbe stato diverso: optando per l’esecuzione in simultanea dei due strumenti, si è praticamente superato.

Alessandro

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