Oasis, of course

Ascolto la musica degli Oasis da quasi trent’anni. Se non vado errato, dovrei aver cominciato a prendere confidenza con alcuni classici del loro repertorio nella seconda metà degli anni Novanta. Per ragioni puramente anagrafiche, non riuscii a godermi l’esplosione della band britannica con il celebre “(What’s the Story) Morning Glory” del 1995; tuttavia ho ricordi piuttosto nitidi delle uscite dei fortunati singoli estratti dal successivo “Be Here Now”, uno dei dischi di Liam e Noel Gallagher a cui resto maggiormente legato.
A proposito di quel disco, ricordo tanti passaggi in televisione del videoclip di All Around the World, brano che all’epoca piaceva tanto anche a mia sorella. Restavo puntualmente colpito dai suoni accesi e rigogliosi di quel pezzo lunghissimo, dagli archi e dai fiati capaci di dare un sapore retrò a un componimento squisitamente brit e con all’interno molti riferimenti alle atmosfere dei Beatles. Da lì in poi non li ho più persi di vista, vivendo con foga, eccitazione, adrenalina e trasporto tutte le loro pubblicazioni fino all’ultimo “Dig Out Your Soul” del 2008.
Non appartengo a quella fetta di persone convinte del fatto che gli Oasis siano il più grande gruppo rock di sempre: li ho amati tanto e resto ancora affezionato a loro, eppure, negli anni, li ho ascoltati conscio dei pregi e dei difetti. Hanno scritto e inciso pezzi strepitosi, di un numero tanto elevato che sarebbe inutile, in questa sede, azzardare un elenco. In ogni caso, a livello tecnico, ci sono state, e ci sono tuttora, formazioni ben più complete. Insomma, dei grandi ma non i migliori in assoluto. Restando nel Regno Unito, band come i Radiohead e i Gomez sono sempre state un pezzo avanti.
Al di là questo, comunque, c’è, da parte mia, una riconoscenza enorme verso i Gallagher e quei musicisti che, in momenti diversi, li hanno seguiti in studio e dal vivo. Quando metto su dischi come “Definitely Maybe” o “Standing on the Shoulder of Giants”, vengo assalito da un misto potentissimo di emozione, incanto e nostalgia. In quei momenti di rendo conto del legame forte e solido con tutte quelle belle canzoni che gli Oasis sono stati in grado di sfornare in un arco temporale neanche troppo esteso.
Un songwriting eccellente il loro, con un gusto particolare per la melodia e le chitarre distorte, spesso e volentieri tendenti a farsi graffianti e abrasive, proprio come vuole il rock ‘n’ roll. Poi ci sono i brani più lenti e intensi, e lì resta difficile non sciogliersi e abbandonarsi alla magia. Gagliardi e validi, indispensabili in certe giornate faticose e complicate dove c’è bisogno del giusto conforto.

Alessandro

No Comments Yet.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *