“Una sceneggiata” del grande Francesco Forni

Dopo ben tredici anni, Francesco Forni è tornato a pubblicare un album da solista (tra il 2012 e il 2018 ne ha realizzati tre con la talentuosa Ilaria Graziano). Al formidabile “Tempi meravigliosi” del 2009, che continuo a ritenere un gioiello della musica italiana degli ultimi vent’anni, è seguito “Una sceneggiata”, disco dato alle stampe nel marzo scorso e anticipato dai singoli Pure si fosse e Gelusia. Questi due titoli lasciano intuire come i testi dei brani inseriti in scaletta siano caratterizzati dall’impiego del dialetto partenopeo: ecco uno dei tratti distintivi dell’opera.
“Una sceneggiata” è, di fatto, il primo disco di questo straordinario bluesman interamente scritto e cantato in napoletano. Una scelta tanto coraggiosa quanto affascinante, rivelatasi vincente. Sentirlo esprimersi nella lingua parlata nella sua città di origine, ovvero Napoli, è qualcosa di magnifico. Lui, che fin dagli esordi si è distinto da tanti altri suoi colleghi per una scrittura profonda e poetica al tempo stesso, con questo cambio di “direzione” è andato a imprimere ancora più forza, più fascino, a dei pezzi originali a dir poco validi e ispirati.
Importante sottolineare come “Una sceneggiata”, costituito da un totale di tredici tracce, sia stato realizzato seguendo la storia di “Spacciatore”, spettacolo teatrale con soggetto di Pierpaolo Sepe per il quale il buon Francesco curò le musiche circa un paio di anni fa. In sostanza, l’album rievoca gli avvenimenti principali di quell’opera tanto apprezzata dal pubblico e dalla critica. Un concept album? Sì, in effetti lo è. Ma non è un concept di quelli pesanti e impegnativi nell’ascolto: per come è stato scritto e strutturato, il disco si lascia sentire tranquillamente. Non contiene momenti noiosi, lenti. Scorre che è una meraviglia.
Tutto ciò avviene grazie a uno stile riconoscibile e coerente, ma variegato. Le musiche sono incantevoli sia nei frangenti più concitati ed esplosivi (vengono in mente Spacciatore e Mercuzio), sia nei passaggi più delicati, intensi. A tal proposito, vale la pena citare almeno La sposa, Padre, Notte scura e Perduto. C’è un po’ di tutto alla base degli arrangiamenti: chitarre acustiche, chitarre elettriche, tamburelli, tammorre, percussioni, viole portoghesi, violoncelli, trombe, mandolini.
Questo mix esaltante di strumenti dà vita a un lavoro assolutamente eterogeneo dal punto di vista sonoro, con continui lampi di rock, blues, folk, canzone d’autore e non solo. È un album eccellente questo “Una sceneggiata”, di quelli di cui se ne comprende lo spessore già dopo il primissimo ascolto. Basta tenerlo nello stereo per circa una settimana per assimilarlo così bene al punto tale da non riuscire più a staccarsene, a farne a meno. Diversi colleghi ne hanno parlato in maniera discreta, ma penso che il giornalismo musicale dovrebbe dedicargli ancora più attenzione, anche se sono passati circa tre mesi dalla sua uscita.
Chi è alla costante ricerca di musica di qualità sarebbe tenuto a dargli almeno una chance. Più lo ascolto, più mi rendo conto che un lavoro simile sia in grado di mettere d’accordo tutti, dall’ascoltatore molto esigente a quello maggiormente legato alla musica italiana, da chi è assetato di belle melodie a chi ha un debole per la tradizione napoletana. Qui c’è dentro una maturità sconvolgente.

Alessandro

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