“Gran calavera elettrica” di Cesare Basile, un gioiello inatteso (e insperato) tra le mani

Questa storia ha dell’incredibile, almeno per il sottoscritto che, come saprete, vive con una passione smodata la musica e rimane legatissimo al disco in quanto oggetto nonostante non sia più di moda da almeno quindici anni.
Il 10 giugno scorso mi sono recato alla Feltrinelli Red di via Tomacelli, qui a Roma, per intervistare il grande Mario Venuti in occasione dell’instore organizzato per presentare al pubblico della Capitale il suo ultimo album d’inediti intitolato “Soyuz 10”. Giorni prima mi ero sentito con Manuela Longhi, da tempo legata professionalmente a Mescal, per concordare l’orario dell’incontro. Una volta arrivato sul posto vedo Mario impegnato ad effettuare il soundcheck e, seduta in platea, alla mia sinistra, incrocio proprio lei.
Cominciamo a parlare e ben presto lei mi pone una domanda non nuova, abbastanza naturale nell’ambito di chiacchierate con persone che lavorano nel campo della musica, o che comunque conoscono a fondo la discografia italiana. Il quesito è il seguente: «Ma per caso sei parente di Cesare Basile?». «Eh, me lo chiedono spesso», rispondo io. Che poi aggiungo: «Purtroppo no. Tra l’altro, per me, è un mito».
La conversazione prosegue, Manuela mi ricorda del trascorso dell’immenso Cesare in Mescal e, dopo un po’, le dico: «Sono alla ricerca di alcuni suoi dischi rilasciati nei primi anni Duemila. So che alla Discoteca Laziale hanno “Closet Meraviglia”, mentre “Gran calavera elettrica” ed “Hellequin Song”, ad esempio, sono introvabili». «Sì, sono entrambi fuori catalogo – risponde lei – però, forse, in ufficio da noi dovrebbe esserci un’ultima copia di “Gran calavera”. Questa settimana sono sempre fuori, magari scrivimi all’inizio della prossima e vedo di spedirtelo».
Come si può immaginare, non ci penso su due volte e la mattina di martedì 18 giugno le invio una mail per ricordale del disco. Detto fatto: tempo di imbustarlo e consegnarlo all’ufficio postale ed eccolo arrivato a destinazione. “Gran calavera elettrica”, una pietra miliare del folk rock italiano, un disco che Cesare diede alle stampe nel 2003 dopo un importante lavoro di produzione con John Parish, negli anni al fianco di fenomeni come PJ Harvey, Eels e Sparklehorse.
Non so davvero come ringraziare Manuela per questo dono. Ritrovarmi a sentire una gemma del genere mi dà una gioia unica. Parliamo di un album eccellente, costellato da canzoni uniche come In coda, Tutto tranquillo, Orto degli ulivi, Primo concime e Senza sonno, canzone cantata da Nada. Ritengo che Cesare abbia realizzato tanti dischi meravigliosi, però con “Gran calavera” lui confermò la propria abilità del cimentarsi in un cantautorato più ipnotico, contaminato, elegante, elettroacustico e blues come già fatto con il precedente “Closet meraviglia” (“La pelle” e “Stereoscope” erano invece di matrice rock).
Consiglio a chiunque di dargli un ascolto, o almeno di sentire alcuni dei cd rilasciati negli ultimi venticinque anni da uno dei migliori cantautori italiani in attività. Ma che dico, di sempre!

Alessandro

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