Afterhours

Bachi Da Pietra, Verdena, Il Pan Del Diavolo, Calibro 35, Il Teatro Degli Orrori, Bud Spencer Blues Explosion, Zu, The Zen Circus, Marlene Kuntz, …A Toys Orchestra, Offlaga Disco Pax, Giardini Di Mirò, Guano Padano, Scisma. Sono davvero un’infinità le band italiane di spessore. Ma tra i tanti gruppi rock nati nel tempo, continuo a ritenere che gli Afterhours siano sempre e comunque i numeri uno. Lo sono per la coerenza sonora e autoriale che non hanno mai smarrito, per le emozioni che ancora oggi riescono a sprigionare dal vivo come in studio.
Ogni volta che penso alla carriera del gruppo di Manuel Agnelli rimango senza parole. Perché gli Afterhours sono stati capaci di collezionare una serie perfetta di album (e non mi riferisco solo ai primi e più blasonati, ma anche ai recenti “I Milanesi Ammazzano Il Sabato” e “Padania”). Hanno scritto canzoni potenti, graffianti, intense, struggenti. In una parola: belle. E questo, a mio avviso, è tutto nella musica non strumentale. Saper scrivere bellissime canzoni è indispensabile, è la cosa più importante. È quello che dico quando parlo ad esempio dei Radiohead: sperimentazione, bei suoni, bella voce di Thom Yorke, testi enigmatici e intriganti. Ma, prima di tutto, canzoni convincenti. Sempre. Ecco, negli Afterhours riscontro ancora oggi una concretezza di questo tipo. Non a caso li adoro alla follia. E sono certo che anche il prossimo album, sulla cui uscita si sa pochissimo, non deluderà.
Agnelli è sensibile e intelligente e quando sforna un nuovo lavoro lo fa sostanzialmente per due motivi: perché ha delle cose da dire e perché ha accumulato un pugno di canzoni che lo convincono in pieno.
Massima stima, da sempre e per sempre.

Alessandro

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